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venerdì 22 febbraio 2008

MISSIONI, LA CAMERA APPROVA IL DECRETO. L'ARCOBALENO SI DIVIDE. IL VOTO CONTRARIO DI SINISTRA CRITICA

Con 340 voti a favore e 50 contrari la Camera ha detto sì al decreto legge che proroga la partecipazione italiana alle missioni militari all'estero che ora passa al Senato. Tra le missioni "prorogate" anche quelle Afghanistan e in Kosovo. Si sono espressi per il sì tutti i gruppi tranne il Prc e il Pdci, la Sinistra democratica, invece, non ha partecipato al voto. Di seguito la dichiarazione di voto contrario di Salvatore Cannavò a nome di Sinistra Critica.SALVATORE CANNAVÒ. Signor Presidente, con la mia dichiarazione di voto è la quarta volta che intervengo, in questi due anni di legislatura, per dichiarare il mio voto contrario alle missioni militari. Se permette una piccola digressione personale, dal mio punto di vista tale questione ha marcato la mia legislatura e ha segnato in gran parte la mia vita politica. Si tratta di una posizione che, in questi anni, è stata definita in molti modi: esattamente un anno fa, purtroppo, essa è stata espulsa dal partito che avevo contribuito a fondare nel 1991 - Rifondazione Comunista - e proprio un anno fa, il 21 febbraio 2007, al Senato, si verificò la prima crisi del Governo, Prodi in occasione del voto sulla politica estera. Tale posizione è stata da molti definita coerente: anche in quest'Aula ho ricevuto riconoscimenti e solidarietà (colgo l'occasione del finale di legislatura per ringraziare i deputati chehanno espresso tali apprezzamenti). In questi due anni, però, tale posizione è stata definita - dal Governo Prodi e dalla direzione politica del Paese - come irrealistica e irresponsabile, in ossequio a un certo pragmatismo politico che ha caratterizzato in particolare l'attività della Farnesina.Continuo a pensare ancora oggi che questa posizione sia, invece,maggioritaria nel Paese e che proprio per questo motivo essa venga contrastata con una sapiente propaganda mediatica e politica, che in alcuni casi - seppure eccezionali - arriva perfino a strumentalizzare il dolore dei familiari dei soldati italiani caduti in guerra: un dolore che noi, contrarialla guerra, abbiamo sempre e comunque rispettato e che continuiamo a rispettare.Occorre dire, però, che irrealistica, probabilmente, è la linea politica che sorregge la decisione di inviare soldati in missioni di guerra. Anche se tardi e fuori tempo massimo, nel finale di legislatura, sarebbe il caso invece di effettuare un bilancio serio, lucido e, una volta tanto, realista di quanto è avvenuto in questi ultimi dieci anni: l'Italia, infatti, è impegnata nei Balcani dagli anni Novanta, in Kosovo dal 1999, in Afghanistan dal 2001, in Libano soltanto dal 2006 con la missione UNIFIL 2, ma da molto prima con la missione UNIIFIL 1. Qual è il bilancio di tutte queste missioni? In Libano non si è fatto un passo avanti: si è ancora fermi e la missione - che pure era stata presentata come un'occasione per la causapalestinese - non ha saputo dire nulla e non può dire nulla rispetto alla tragedia del popolo palestinese, come è stato evidenziato dalla vicenda della Striscia di Gaza e dall'abbattimento del confine con l'Egitto.In Afghanistan vi è una paralisi evidente, e continuano a morire soldati italiani e, ovviamente, civili afghani. Il Viceministro Intini, chiudendo la fase della discussione sulle linee generali, ha giàaffermato che dobbiamo puntare ad una Conferenza di pace, anche perché i talebani non sono più quelli di una volta. Essi sono cambiati in larga misura nella percezione della popolazione afgana, anche in virtù delle bombe e dell'intervento militare della NATO, che li ha resi molto più accetti alla popolazione afgana di quanto non lo fossero all'inizio di quest'avventura.Con riferimento al Kosovo, abbiamo appena finito di parlare: non c'è molto da dire se non che quanto sta avvenendo oggi è il frutto maturo di una crisi che nove anni fa è stata gestita con la sciabola, con ladissennatezza delle bombe sui civili e con l'idea che un groviglio di quella natura e di quelle dimensioni potesse essere districato dalla spada piuttosto che dalla politica. Oggi ci troviamo di fronte a unascelta di indipendenza unilaterale e, contemporaneamente, di fronte al rafforzamento progressivo del nazionalismo serbo, che è esattamente il frutto di quell'azione dell'Occidente, della NATO e anche del Governo italiano, allora diretto dall'onorevole Massimo D'Alema.Oggi, quindi, il realismo consiglierebbe di tirare un bilancio serio, di compiere alcune inversioni di tendenza e di rimettere al centro la politica, anche divincolandosi dall'abbraccio con gli Stati Uniti, che continuano a orientare qualunque scelta di politica estera del nostro Paese, come dimostra il recente riconoscimento unilaterale dell'indipendenza kosovara.Invece, politicamente con chiara e lucida scelta politica, si continua a scegliere la linea dell'adesione alla guerra per contare sui tavoli della politica internazionale - lo ha detto con chiarezza cristallina ancora una volta il Viceministro Intini l'altra sera - nella più piena continuità con quella logica imperiale che ha rappresentato il cuore della linea politica occidentale.Ribadiamo quindi il nostro «no» e il rifiuto di questa linea politica. Vediamo che oggi vi è un ripensamento e un ritorno sulle antiche posizioni da parte della sinistra di Governo e, in particolare, per quanto mi riguarda, da parte di Rifondazione Comunista.Personalmente, non può che farmi piacere, perché è il riconoscimento, sia pure tardivo e fuori tempo massimo, che avevamo ragione noi, già due anni fa. Politicamente, però, immagino rappresenti un'amara sconfitta per coloro che dell'obiezione all'interventismo militare hanno fatto un valore assoluto e hanno dovuto sacrificare, invece, quella convinzione sull'altare della governabilità. È una sconfitta duplice per chi, invece, si è baloccato in questi anni nell'illusione della riduzione del danno anche su vicende che attengono alla questione militare e allo sganciamento di bombe.Nel finale di legislatura mi interesserebbe, però, proporre una riflessione più generale all'Aula. Da fronti opposti, sulla vicenda della guerra, abbiamo assistito a posizioni che hanno sorvolato sui principi, per privilegiare questioni tattiche di Governo: la sinistra, per salvare il Governo, ha disperso la propria credibilità pacifista; la destra, per abbattere il Governo, si è rimangiata le scelte che essa stessa aveva intrapreso, come nel caso dell'Afghanistan. Ricordo che quest'ultima applaudiva entusiasta alle mie dichiarazioni di dissenso al Governo Prodi, che, invece, erano dichiarazioni che contrastano nettamente le loro convinzioni e le loro visioni di politica internazionale. In questi due anni, la politica ha continuato a ridursi a schermaglia, a mera tattica, a posizionamento geometrico, invece di privilegiare il contenuto, i valori e i principi di fondo.Questa è la ragione principale di quella crisi della politica di cui parliamo ogni tanto, non sempre, in quest'Aula. Se ne è parlato molto poco in questi due anni. È una crisi della politica che non viene smentita nemmeno da una campagna elettorale in cui gli antichi avversari oggi si alleano e si spartiscono gli spazi in televisione, mentre i vecchi amici si sparano addosso. Nel nostro piccolo, abbiamo cercato di mantenere un filo di coerenza e di rispetto per le nostre idee. Lo abbiamo fatto con il senso del limite, senza alcuna presunzione e con il massimo rispetto di tutti e tutte. Per questa ragione, però, molto probabilmente non rientreremo in Parlamento. Vi è una linea di coerenza e di adesione alle proprie convinzioni di fondo che non sarà probabilmente premiata, ma, se tornassimo indietro, rifaremmo esattamente tutto quanto.Non abbiamo alcun pentimento, ma forse di questa esperienza ci resta un insegnamento: continueremo a opporci alla guerra nettamente, senza se e senza ma, come ormai abbiamo imparato a dire. Lo faremo anche fuori dal Parlamento e, vista come è andata in questi due anni, probabilmente sarà più utile ed efficace (Applausi di deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Verdi).