Niente strette di mano né sorrisi, problemi affidati a due «gruppi di lavoro». Il Pdci ottiene un rinvio sulla falce e martello. Il Prc incassa il sì a Bertinotti. Mussi va a «vedere le carte» del Pd per l'estremo «confronto programmatico». Tra poco più di 1600 ore si vota
Matteo Bartocci (il manifesto)
Tutto come prima. Come all'indomani degli «stati generali» dell'8 e 9 dicembre. «Abbiamo deciso dipresentare un'unica lista e un unico simbolo e questa è una scelta irreversibile», puntualizza il segretario di Rifondazione Franco Giordano dopo tre ore di vertice a porte chiuse dei segretari della Sinistra-L'Arcobaleno. Potrebbe essere l'annuncio di una giornata storica per la sinistra italiana. Se non fosse che quasi tutti i problemi della vigilia restano sul tavolo. Stabilito infatti se presentarsi insieme alle elezioni, i leader della sinistra si sono subito arenati sul come. A partire dal simbolo unico, senza il quale non si può nemmeno volantinare di fronte a un mercato. «Troveremo in brevissimo tempo la soluzione più efficace», assicura il segretario del Prc, che già in mattinata aveva dato il nulla osta alla scomparsa della falce e martello e al «tesseramento dal basso al nuovo soggetto unitario» lanciato dalle associazioni.Se in politica la psicologia e l'immagine contano ancora qualcosa, le facce dei leader della sinistra dopo la riunione di ieri erano eloquenti, più simili a quelle di condannati a morte che a quelle di promessi sposi. Nervosi, preoccupati, dopo cinque minuti di conferenza stampa ognuno se ne va via per conto suo attorniato dallo staff. Niente strette di mano, niente sorrisi, niente celebrazioni. Il cappotto e via.Il futuro è affidato a due «gruppi di lavoro», uno sull'organizzazione (simbolo e campagna elettorale), l'altro sul programma. E il 23 e 24 febbraio ci saranno «iniziative diffuse» in tutta Italia. Una sorta di «primarie di programma» su cui consultare i propri attivisti. La discussione si è ben presto arenata sul simbolo: è stato soprattutto il Pdci che ha resistito sulla falce e martello, angosciato dall'eventuale appropriazione indebita da parte di altri (Ferrando, Cannavò, etc.).Sul punto decisivo, forse complice l'ora, alla fine Diliberto l'ha spuntata sul rinvio dopo un durissimo braccio di ferro con Mussi, mentre Giordano e Pecoraro Scanio provavano a fare da mediatori.Rifondazione ha «incassato» molto ma ha acconsentito all'ultimo (?) incontro con Veltroni voluto da tutti e tre gli altri partiti prima dell'addio. «Andiamo a vedere le carte», dice Mussi, su questo perfettamente in sintonia con Pecoraro Scanio e Diliberto. I quattro partiti saranno ricevuti al Campidoglio o al «loft» veltroniano con uno spirito decisamente diverso. Se per Bertinotti quello con il Pd è sostanzialmente un divorzio consensuale, sugli altri aleggia uno spirito quasi da amanti traditi. «Il Pd ha rotto unilateralmente la coalizione, regalare l'Italia a Berlusconi è un errore», attacca il leader dei Verdi. Mussi rilancia: «Sarebbe drammatico se Veltroni dopo aver aperto le porte al Cavaliere gli asfaltasse anche la strada».Ai nastri di partenza c'è nervosismo tra partiti ma anche tra i gruppi dirigenti. Quando Giordano comunica che «se non ci saranno le condizioni per l'accordo col Pd la Sinistra arcobaleno indicherà Fausto Bertinotti come candidato premier» nessuno fa un fiato. Ma quando si chiede che fine ha fatto il ventilato «ticket» con l'ambientalista Grazia Francescato, Cesare Salvi - capogruppo Sd in senato - sbotta parlando di un «veto delle compagne, che non vogliono fare da numero due, ne discuteremo più avanti». L'osservazione non è nemmeno terminata che la sua omologa alla camera, Titti Di Salvo, fa un salto sulla sedia.Dentro Rifondazione crescono i mal di pancia delle minoranze. I senatori Claudio Grassi (Essere comunisti) e Fosco Giannini (Ernesto), fin qui divisi, si compattano immediatamente reclamando la presenza della falce e martello nel simbolo e invocando una consultazione formale degli iscritti visto il rinvio del congresso in autunno. «Neanche in una bocciofila si prendono decisioni così importanti senza consultare la base», tuona Giannini. «La scomparsa dei simboli del comunismo è una scelta subalterna che può disorientare gravemente il nostro elettorato», avverte Grassi.Senza contare che anche la maggioranza del partito non sembra blindata. Un bertinottiano doc, a telecamere ben lontane, sottolinea con fastidio la «freddezza» con cui Paolo Ferrero, ministro dimissionario del Prc, sta seguendo da lontano l'evoluzione della crisi: «Forse prende le distanze perché pensa di poter fare il segretario del partito dopo la sconfitta elettorale». Non è certo l'annuncio di una resa dei conti al vertice ma soltanto l'indice di come sarà difficile fare candidature che segneranno profondamente e a lungo gli equilibri nel dopo.Se si voterà davvero il 13 aprile mancano solo 1600 ore all'apertura delle urne. L'ultimo miglio è sempre il più lungo. E la scena pubblica a volte dice più di mille retroscena.
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L'associazione
mercoledì 6 febbraio 2008
L'ARCOBALENO FA LA LISTA UNITARIA MA NON TROVA IL SIMBOLO. TUTTI DA VELTRONI PER CHIEDERE UN ACCORDO DI PROGRAMMA
Pubblicato da Sinistra Critica Palermo alle mercoledì, febbraio 06, 2008