Si va dunque a elezioni. Ci si va nella forma più depressiva, sull'onda di un fallimento, annunciato, prevedibile ma pur sempre un fallimento che pesa sulle teste di tutti noi. "Con questi dirigenti non vinceremo mai", urlava Nanni Moretti all'insegna di Fassino e Rutelli nel 2002. Oggi quell'accusa è ancora attuale e il quadro degli "imputati" è destinato ad allargarsi a Bertinotti, Giordano, Diliberto, Mussi o Pecoraro Scanio. Ma non è questione di dirigenti, ovviamente, o di singole persone quanto di linee politiche, di progetti, di capacità di costruire in questo paese una sinistra degna di questo nome, una "sinistra che fa la sinistra" e che rompa con chi è ormai diventato un pilastro di questo sistema.Del ruolo di Veltroni nello scatenamento della crisi ormai si è detto molto: anch'egli, come D'Alema nel '96, si è precipitato in soccorso dello sconfitto, Berlusconi, per assurgerlo a interlocutore privilegiato delle "grandi riforme" consentendone così la resurrezione. E lo stesso errore - si tende a dimenticarlo oggi - avevano fatto nel 2005, dopo la sonora sconfitta alle regionali subita dal centrodestra, Prodi e Bertinotti che si dissero contrari alla richiesta di elezioni anticipate consentendo così quel recupero che ha portato il Cavaliere a ridosso dell'Unione nell'aprile 2006 e che spiega il ribaltone di oggi.Mosse tattiche sbagliate, presunzioni inenarrabili - chi si ricorda in Rifondazione la prosopopea con cui il gruppo dirigente del Prc elogiava le virtù taumaturgiche del Programma dell'Unione? - piccinerie istituzionali. Tutto si tiene però sulla base di una visione strategica a corto raggio, senza respiro: l'idea che comunque bisogna lavorare a una semplice "riforma" del sistema che però consiste in una modernizzazione capitalistica che resta l'unico orizzonte dei gruppi dirigenti in Italia, di destra e sinistra. Il problema è che le riforme importanti, quelle che cambiano la vita alle persone, non esistono se non sono ancorate a una strategia di trasformazione radicale, rivoluzionaria, a uno sguardo sul futuro.Questo paese avrebbe bisogno di essere rivoltato da cima a fondo. Avrebbe bisogno di una rivoluzione democratica e sociale, di un azzeramento della "vecchia merda" (citiamo Marx) e di una rigenerazione complessiva. Questa è la realtà che vedono tutti e che è ostruita da una prospettiva politica fragile, impedita da un cumulo di errori e di delusioni conseguenti.Se non riusciamo ad affermare una strada di ricostruzione della sinistra di classe e anticapitalista questa prospettiva sarà rinviata ancora per molto tempo. Per questo Sinistra Critica ha deciso di esistere e di continuare a esistere, per provarsi in questa impresa.Si apre la campagna elettorale; la sinistra di governo cercherà di riciclarsi in forza di opposizione e prenderà le distanze da se stessa. Nella meschinità della sinistra italiana c'è spazio anche per questo approccio. Ma non potrà risolvere con una mossa tattica il nodo di quella ricostruzione che ha bisogno di tempo, di nuove forze e di una nuova generazione politica. Non sarà Sinistra Critica, da sola, a risolvere il problema ma almeno ha le carte in regola per indicare l'obiettivo e per non disperdere nessuna energia in questo difficile compito.
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mercoledì 6 febbraio 2008
LA MESCHINITA' DELLA SINISTRA E LA NECESSITA' DI RICOSTRUIRLA di Salvatore Cannavò
Pubblicato da Sinistra Critica Palermo alle mercoledì, febbraio 06, 2008